Il nome Apollo, nel corso della storia dell’automobile, è stato adottato in più occasioni, infatti, già nei primi anni 20 del ‘900 con questo nome era identificata una casa automobilistica tedesca che produceva una vettura di nome Piccolo, mentre oggi, il nome Apollo, identifica il nuovo corso della casa automobilistica Gumpert. Nel nostro caso questo nome ha identificato una vettura sportiva americana dei primi anni 60, la cui storia si è intrecciata anche con l’Italia. L’Apollo americana nacque grazie all’incontro, durante il Gran Premio di Monaco del 1960, tra Frank Reisner, ingegnere di origini ungheresi trapiantato in Canada, fondatore della Intermeccanica, che in quel periodo esercitava a Torino, in Italia, producendo kit di elaborazione per vettura esistenti e, l’ingegnere californiano Milt Brown, il cui sogno era di costruire una vettura sportiva, in grado di competere con marchi di rilievo, quali ad esempio Ferrari.
Questi dopo, il proficuo incontro con il patron di Intermeccanica, dimostratosi molto interessato all’idea, contattò il suo amico Ron Pescia, designer laureato all’Art Center School of Design di Los Angeles, il quale si mise subito a lavoro realizzando i primi bozzetti. Tuttavia non bastava solo un bozzetto ben realizzato per fare una nuova auto, ma ci volevano anche fondi e, in questo, la figura di Newton Davis, fu essenziale per finanziare il progetto.
I primi bozzetti realizzati da Pescia, non convinsero, poiché la vettura risultava in parte sproporzionata e appesantita soprattutto al posteriore dall’assenza di un finestrino laterale che snellisse tutta la fiancata. In aiuto arrivò il designer Franco Scaglione, che con semplici modifiche riuscì a dare un tocco originale ed elegante alla nuova sportiva. Chiari erano i rimandi alle Ferrari e Jaguar dell’epoca, ma la nuova Apollo GT comunque manteneva una sua personalità spiccata. Gli interni presentavano finiture di ottimo livello, con materiali di qualità e confortevoli sedili in pelle, inoltre si poteva avere anche l’aria condizionata, proposta come optional e, tutt’altro che comune, all’epoca. Dal punto di vista meccanico la nuova GT montava due unità provenienti dalla Buick, la prima era un V8 da 3,5 litri della Special, e la seconda un V8 da 4,9 litri più grande. Mentre il primo generava 190 cavalli, il più grande, erogava 250 cavalli. Entrambe le unità erano inizialmente accoppiate a una trasmissione manuale Borg-Warner a quattro velocità, ma in seguito fu introdotto anche un cambio automatico. Nel corso della produzione la GT venne proposta anche con carrozzeria Spider.
La produzione iniziò nel 1962, prima in Italia, alla Intermeccanica, dove le scocche venivano assemblate e poi spedite in California per l’assemblaggio finale. Al momento del debutto la vettura costava 6.000 Dollari, e tra i primi acquirenti vi fu il musicista Pat Boone. Nonostante il risalto mediatico e gli elogi per prestazioni e cura degli interni, la creatura della International Motor Cars di Brown, fu uccisa dal suo stesso successo, in quanto non erano stati ben calcolati i costi del progetto e quelli della produzione, portando così l’azienda ad avere una perdita per ogni vettura venduta. Si provò ad alzare il prezzo di listino, ma ormai la strada era segnata e, nel 1964, la International Motor Cars, per scongiurare il fallimento, anche della Intermeccanica, stipulò un accordo con la Vanguard Industries di Dallas, in Texas, che si occupò di vendere le vetture Apollo, con il nome Vetta Ventura. La collaborazione comunque durò solo un anno, permettendo comunque a Brown di pagare la Intermeccanica, ma non garantendo la salvezza della sua azienda. Sempre in quell’anno, al salone di New York, venne presentata la verione 2+2 della Apollo, ribattezzata Griffith, che però non ebbe seguito produttivo.
L’atto finale fu l’abbandono di Brown, che lasciò Davis al timone di una azienda ormai senza futuro, infatti inutile fu il tentativo di trovare nuovi finanziatori e, alla fine quest’ultimo cedette i diritti ad un avvocato di Los Angeles, Robert Stevens, che a sua volta tentò un nuovo rilancio del modello, sotto la nuova società Apollo International, ma fu di breve durata e, riuscì a completare solo quindici vetture, quasi tutte con carrozzeria decappottabile. In tre anni di attività si stima siano state prodotte 88 Apollo di cui 76 Coupè, 11 Spider ed il prototipo 2+2 del 1965.
Reisner invece, dopo l’avventura Apollo, si cimentò nella produzione di una vettura sportiva con il marchio Intermeccanica, la Italia, la quale grazia al buon successo, fece conoscere ben presto l’azienda torinese, prima in Europa e, in seguito, anche in America. Tuttavia nel 1974, la crisi travolse anche la piccola azienda italiana, che fu costretta a chiudere i battenti, ma l’ingegnere non si dette vinto, e la riaprì nuovamente in California, dove tutt’oggi costruisce repliche di Porsche 356, anche in versione completamente elettrica. Se volete potete trovare maggiori informazioni sul sito ufficiale dell’azienda.
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