Design Italiano, tradizione Inglese

Verso la metà degli anni ’50, Standard-Triumph avviò la progettazione di una nuova vettura, che venne in seguito commercializzata, con il solo marchio Triumph. Il nome scelto fu Herald, nome che per certi aspetti richiamava la nomenclatura dei modelli Standard dell’epoca, e ciò fa ipotizzare che inizialmente la vettura dovesse essere proposta con questo marchio. Data la maggiore importanza del marchio Triumph, alla fine si optò per quest’ultimo, relegando quindi Standard ad un ruolo sempre minore, fino alla sua definitiva dismissione, avvenuta nel 1963.

La progettazione della nuova vettura, che doveva sposare i canoni della Triumph, quali cura dei dettagli ed eleganza, ebbe come figura chiave il designer italiano Giovanni Michelotti (1921 – 1980), del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita. Quest’ultimo delineò, in tempi record il design definitivo della nuova vettura, un’elegante tre volumi a due porte, sviluppata sotto la supervisione del direttore tecnico Harry Webster. Caratteristica peculiare della Herald era la superficie vetrata estremamente ampia, che garantiva il 93% di visibilità a 360°. Per il resto la nuova nata, era tutt’altro che rivoluzionaria, poiché basata su un’impostazione meccanica e costruttiva classica, tuttavia rimase tra i modelli più importanti per Triumph, segnando inoltre, l’inizio della collaborazione con Michelotti, che firmò altri modelli importanti, tra questi, l’iconica Spitfire del 1962.

Inizialmente la produzione, doveva essere affidata alla carrozzeria Fisher & Ludlow, che avrebbe utilizzato una moderna scocca portante, tuttavia, essendo quest’ultima entrata nella galassia del gruppo concorrente BMC, Standard-Triumph decise per una produzione interna, adottando le tecnologia che aveva a disposizione. La nuova Herald era dotata, di un telaio separato dalla carrozzeria, soluzione già all’epoca datata, e aveva la scocca imbullonata al telaio, mentre la parte frontale era incernierata all’anteriore. Questa soluzione costruttiva era assai semplice e permetteva di poter realizzare più modelli sullo stesso telaio, con costi relativamente contenuti. Per quanto concerne la meccanica, anch’essa era classica, con motore all’anteriore in posizione longitudinale e la trazione sulle ruote posteriori. I freni erano a tamburo, mentre il cambio era a quattro marce sincronizzate, fatta eccezione per la 1°. Le sospensioni posteriori erano indipendenti, mentre le anteriori erano a doppio braccio oscillante. Lo sterzo era a cremagliera e offriva un buon raggio di sterzata, conferendo alla vettura un’ottima manovrabilità.

Al momento del suo lancio, nel 1959, la Herald suscitò interesse, tuttavia venne criticata per il motore 4 cilindri, derivato dalla Standard Eight, di 849 CC e 39 Cv, giudicato troppo poco potente. Questa inadeguatezza si fece sentire maggiormente soprattutto nelle versioni Coupé e Convertible, presentate l’anno seguente. Nel 1961 in concomitanza con l’ingresso dell’azienda nel gruppo Leyland, la Herald beneficiò di varie migliorie, a cominciare dal propulsore, ora di 1147 CC e 48 CV, che diede vita alla versione 1200. Novità anche per gli interni ora dotati di plancia in legno e altre migliorie di finizione. Venne introdotto anche l’optional dei freni a disco sulle ruote anteriori. Sempre in quell’anno entrò in produzione la Herald Estate, versione station wagon, dotata di portellone con ribaltina. Derivata da quest’ultima, la commerciale Courier,  prodotta dal 1962 fino al 1964, anno in cui escì di scena anche la versione Coupé, giudicata concorrente della nuova Spitfire.

Nel 1963 debuttò la nuova Herald 12/50, con motore potenziato a 51 CV e freni a disco di serie. Quattro anni più tardi, nel 1967, il modello venne aggiornato nello stile, con un nuovo frontale, che si ispirava al modello Vitesse, con il quale la Herald, condivideva piattaforma e lamierati. Vennero rinnovati anche gli interni ed il cruscotto. In occasione dell’aggiornamento le 12/50, vengono sostituite dalle nuove 13/60 con motore da 1296 CC e 61 CV, che, grazie all’adozione del carburatore, garantivano prestazioni migliori rispetto al precedente modello. Dopo quest’ultimo aggiornamento la produzione della modello, proseguì fino al 1971 quando, dopo aver totalizzato oltre mezzo milione di unità vendute, lasciò il testimone alla più moderna 1300.

Per quanto concerne il marchio Triumph rimase attivo fino al 1984, quando, a causa della situazione tutt’altro che rosea del gruppo Austin Rover, nato dalle ceneri della disastrata British Leyland, e in un ottica di riduzione di costi e concorrenza interna, venne decise di porre fine alla storia del glorioso marchio, ormai appannato da scelte di gestione sbagliate, che ne avevano ormai irrimediabilmente compromesso l’immagine.

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