Let the Spirit move you!

Sopravvivere da soli è sempre difficile poiché, quando non hai alleanze né supporti, devi centellinare ogni spesa cercando di limitare i costi, offrendo prodotti che vendano bene e che si sposino con le esigenze degli acquirenti. Per un certo periodo di tempo alla American Motors, nata nel 1954 dalla fusione tra Nash-Kelvinator Corporation e la Hudson Motor Car Company, ci sono riusciti, arrivando ad essere perfino il quarto costruttore americano, grazie a prodotti interessanti e dai prezzi accessibili, che ben si ponevano come alternativa alle Big Three. Tuttavia se gli inizi furono rosei, scelte di management sbagliate, portarono il piccolo marchio indipendente dal successo al rovinoso crollo e, in molti attribuiscono la disfatta a due modelli in particolare: la Gremlin, prima auto compatta della casa, che grazie al suo prezzo economico ebbe un discreto successo, almeno nei primi anni, ma il cui design discutibile e la scarsa affidabilità contribuirono a minare l’immagine del costruttore di Kenosha e, la Pacer, caratterizzata da un design estremamente originale unito a costi di produzione troppo elevati e da vendite inferiori alle aspettative.

Trovandosi a navigare in cattive acque ed avendo una gamma prodotto ormai vetusta, la AMC con i pochi mezzi a disposizione, avviò la progettazione di una nuova vettura che sostituisse la Gremlin. Per l’occasione vennero ripresi molti elementi di quest’ultima, che per altro condivideva piattaforma e motori con un altro modello della casa, la Hornet in produzione dal 1970, quindi la meccanica era sicuramente collaudata, ma non trattandosi di una piattaforma nuova il peso era superiore rispetto alla concorrenza e ciò si ripercuoteva anche sui consumi. Richard A. Teague (1923-1991), storico designer del marchio, riuscì comunque a confezionare una  vettura elegante, caratterizzata dalla possibilità di scelta tra due tipi di carrozzeria: Liftback, ovvero coupé dalla linea filante e sportiva o Sedan, con maggiore spazio per i passeggeri posteriori e per i bagagli, la quale richiamava molto la precedente Gremlin. Al momento del lancio le motorizzazioni disponibili erano il quattro cilindri 2.0 di derivazione Audi (sostituito l’anno seguente dal 2.5 Pontiac), il sei cilindri in linea da 3.8 e 4.2 CC ed il V8 5 litri, tutti abbinabili ad un cambio automatico a 3 rapporti o manuale a 4. Ampia anche la possibilità di scelta di allestimenti, dalla base, passando per l’intermedia D/L fino alla sportiva AMX, oltre a pacchetti e versioni speciali che si susseguiranno negli anni.

Sebbene la nuova Spirit risultasse superata già al momento del suo debutto e non fosse all’altezza della più moderna concorrenza, aveva dalla sua dimensioni e spazio maggiori ad un prezzo competitivo, senza rinunciare a confort e ad alcune finiture ed accessori di segmento superiore. Dal 1981, assieme all’intera gamma AMC, venne proposta anche sotto la nuova divisione Eagle, creata affidandosi alla tecnologia del marchio Jeep facente parte anch’esso della galassia del gruppo, con i nomi di SX/4 (Liftback) e Kammaback (Sedan), adottando la trazione sulle quattro ruote motrici, inseribile a comando, e andando ad occupare il gradino più basso di quella che può essere definita la prima gamma di Sport Utility Vehicle, anticipando di anni un segmento in costante crescita ai giorni nostri.

Nel 1983, la Spirit venne offerta con il solo motore 4.2 e carrozzeria coupé uscendo definitivamente di scena alla fine dell’anno, sostituita dalla nuova Renault Alliance, sviluppata partendo dal modello 9 della casa francese e prodotta nello storico stabilimento Americano, che sancì l’inizio della collaborazione dei due costruttori, fino al 1987, quando Renault decise di vendere le sue quote a Chrysler, la quale mantenne in vita per qualche anno solo la divisione Eagle, per poi puntare esclusivamente sul più redditizio e carismatico marchio Jeep. Calò così il sipario sulla American Motors e sulla sua coraggiosa storia fatta di alti e bassi, di scelte originali che hanno anticipato mode e costumi dei giorni nostri e, non meno importante fu la Spirit, ultimo modello sviluppato dal marchio che nella sua, non troppo lunga carriera produttiva, conquistò perfino un memorabile risultato alla 24 Ore del Nürburgring del 1979, dove due modelli AMX si piazzarono al 25° e al 43° posto su 120 e al primo e secondo posto nella loro classe di appartenenza, battendo auto di marchi ben più conosciuti e blasonati, ma sfortunatamente pochi se ne ricorderanno negli anni a venire.

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