L’ articolo che sto per proporvi, sicuramente, è un pò in contraddizione con i modelli trattati da questo format, il cui ricordo è quasi sempre legato ad una piccola nicchia di appassionati. Questa volta, tuttavia, analizzeremo la storia di un’auto che tutt’oggi, è ben presente nell’immaginario collettivo. Potrei esordire sottolineando che con il suo successo ha creato una moda, uno status, affascinando stilisti, attori e vip da ogni parte del mondo. Anche lo stesso Enzo Ferrari ne possedeva una. Inoltre, possiamo affermare che grazie alla sue piccole dimensioni e ad un mix perfetto tra agilità e prestazioni, è diventata la protagonista del celebre inseguimento nel film The Italian Job (1969). Certamente quando si parla di Mini, non si può non collegarla ai fattori sopra citati, ma non è tutto ciò che caratterizza questa piccola auto, nata dalla genialità di Sir Alec Issigonis, 60 anni fa.
Va ricordato come primo punto che la Mini fin dal suo debutto, è stata commercializzata sotto vari marchi, partendo dal binomio Austin Morris, passando per le versioni tre volumi commercializzate con i marchi Wolseley e Riley, a seguire la parentesi italiana con la Innocenti, quella spagnola con l’Authi di Pamplona e, infine, assieme al glorioso marchio Rover. In sintesi quest’ultima ha attraversato una buona fetta dell’industria automobilistica britannica (e non), dal suo massimo splendore, fino alla rovinosa caduta.
Fin qui abbiamo ovviamente parlato della Mini originale e qui, vorrei fare una precisazione, dato che questo nome viene tutt’oggi utilizzato e quindi, credo sia giusto fare una distinzione tra la Mini e la MINI, quest’ultimo, marchio che commercializza sotto la supervisione della BMW, vetture di varie dimensioni che traggono spunto, solo nel design, dalla celebre utilitaria. Il marchio MINI, notare scritto tutto in maiuscolo, ha visto la luce nel 2001, esattamente dopo l’uscita della Mini originale, rimasta in produzione per 41 anni. Ovviamente do per scontato che il percorso storico della MINI by BMW, non verrà trattato, poiché rappresenta un fenomeno, quello del retrò moderno, che si rifà ai modelli del passato solo per ciò che concerne il design, vale a dire che, se ci pensiamo bene, a parte per lo stile che si ispira ai fasti del passato, cosa offrono di veramente innovativo questi revival? Certo, ad esempio, la nuova MINI è più sicura e moderna rispetto alla sua antenata ma, per quanto sia certamente una buona auto, non offre innovazioni rivoluzionarie degne di nota, contrariamente alla Mini, che nel 1959, mutò per sempre il modo di concepire l’auto. Dopo questa parentesi, doverosa per introdurre la storia di quello che, agli albori, era semplicemente chiamato progetto ADO 15 (Austin Drawing Office), di cui andremo ad analizzare il percorso, attraverso le sue oltre quattro decadi produttive.
Come già detto, dietro ad un prodotto di successo c’è sempre una figura geniale, ed in questo caso la personalità di spicco del progetto Mini è sicuramente lui, Sir Alec Issigonis (1906 – 1988), brillante ingegnere che aveva già lavorato alla Morris Minor nel 1948 e che, dopo una breve parentesi alla prestigiosa Alvis, aveva accettato, sotto richiesta del patron BMC Sir Leonard Lord, di tornare a Longbridge, per lo studio di una nuova vettura che fosse in grado di competere con le agguerrite Bubble Car, le quali avevano preso il sopravvento nel secondo dopoguerra per la loro economicità. I primi studi iniziarono nel 1957 e, pare che Issigonis avesse disegnato i primi bozzetti sul tovagliolo di un ristorante, ma a parte questo aneddoto, quello che in seguito venne affermato da quest’ultimo fu che, per il progetto, decise di non guardare le caratteristiche delle vetture concorrenti, e questa, fu senz’altro, la carta vincente.
In poco più di tre metri riuscì a confezionare una vettura estremamente maneggevole che poteva ospitare quattro persone grazie ad un ottimo sfruttamento degli spazi, garantendo un’abitabilità di tutto rispetto in relazione all’ingombro esterno. La trazione era anteriore, così come il motore montato in posizione trasversale con coppa dell’olio in comune con quella del cambio, soluzione che rese il suo ingombro veramente minimo e, per ottimizzare ulteriormente lo spazio, il radiatore venne montato lateralmente anziché in posizione frontale; quest’ultime erano tutte soluzioni inedite per un’auto di quel periodo. La nascente vetturetta venne presentata ufficialmente il 26 Agosto 1959, introducendo un modo di concepire l’auto completamente differente rispetto agli esempi del periodo, e la Mini, era così moderna, da rimanere il punto di riferimento del settore per una decina d’anni, poiché la concorrenza arrivò solo dopo molto tempo a proporre auto compatte con trazione anteriore, in grado di darle filo da torcere e, tra queste, ricordiamo la nostrana Autobianchi A112, presentata nel 1969.
Al momento del debutto venne commercializzata come Morris Mini Minor ed Austin Seven, quest’ultimo nome utilizzato per poco tempo. Inizialmente era disponibile solo con il propulsore da 848 CC e 34,5 CV che, nonostante l’esiguità della potenza, le conferiva discrete prestazioni le quali, abbinate all’ottima tenuta di strada, la rendevano estremamente maneggevole e divertente nella guida. Nonostante il prezzo non troppo contenuto la Mini presentava degli interni veramente essenziali, basti pensare che per aprire le portiere dall’abitacolo bisognava tirare una cordicella e che, anche la plancia, era in linea con l’essenzialità, costituita da una grande tasca al cui centro si trovava il quadro strumento circolare. Queste economie non impedirono comunque alla nuova piccola del gruppo BMC di riscuotere fin da subito un enorme successo, spingendo la casa a presentare, già l’anno successivo, le versioni wagon, denominate Traveller (Morris) e Countryman (Austin), entrambe con rivestimento esterno di legno, anche se in seguito venne realizzata anche una versione con la sola lamiera. Contemporaneamente al lancio delle versioni familiare vennero introdotte le versioni commerciali denominate Van e Pick Up. Nel 1961 si ebbe la consacrazione del mito Mini con la nascita della Cooper, frutto della collaborazione tra il preparatore ed il gruppo BMC, sancendo la nascita di un binomio rimasto nella storia. La prima versione della Mini sportiva adottava un propulsore potenziato a 54 CV di 997 CC, ed un equipaggiamento più completo consistente in tre strumenti circolari, sempre raccolti al centro, sedili più confortevoli, pannelli porta con leva di apertura al posto della fune e vetri posteriori apribili a compasso. La decisione di avviare la partecipazione ad attività agonistiche, tra queste i rally, spinse i vertici a creare una versione ancora più spinta, nacque così la Cooper S, che inizialmente aveva una potenza di 68 CV ed una cilindrata di 1071 CC, portata poi a 1275 CC, inoltre montava freni anteriori maggiorati e servoassistiti, che garantivano un’ottima resistenza alle sollecitazioni. Il primo banco di prova della nuova Cooper S fu il Rally delle Alpi del 1963, con al volante il pilota Rauno Aaltonen, il quale ottenne ottimi risultati mantenendosi in testa alla categoria durante tutta la gara e, questo fu il primo dei successi ottenuti dalla Mini, che vedrà tra le sue più belle vittorie, quelle al Rally di Monte Carlo, con un mix perfetto tra l’agilità della vettura e la bravura dei due piloti, il già citato Aaltonen e Timo Makinen. In contrapposizione con la nascita del mito Cooper, sempre nel 1961, è doveroso ricordare che per quasi un decennio la Mini fu proposta anche in versione tre volumi, come Riley Elf e Wolseley Hornet, stilisticamente meno riuscite rispetto al modello d’origine, ma comunque meritevoli di essere ricordate, anche per i due prestigiosi marchi, poco conosciuti fuori da confini inglesi, con i quali erano commercializzate.
Del 1964 furono due importanti novità, la prima era di interesse tecnico e riguardava l’adozione, al posto delle sospensioni con elementi elastici in gomma, delle nuove Hydragas, presentate due anni prima sulla nuova Austin 1100, mentre l’altra era l’introduzione della Moke, versione aperta e spartana della Mini, destinata a piccoli numeri, e rimasta in listino fino al 1994. A partire dal 1965 iniziò la produzione presso gli stabilimenti della Innocenti di Lambrate (MI), dove la Mini venne realizzata, su licenza della casa madre, in tre serie per 10 anni, totalizzando circa un terzo delle vendite totali del modello. Nel 1974 nacque, con una collaborazione tra la Innocenti e Bertone, la Nuova Mini sviluppata sugli organi meccanici dell’originale inglese e caratterizzata da una linea moderna e squadrata che, attraverso varie vicissitudini, rimase in listino fino al 1993. Questo fu il primo esempio di concetto moderno di Mini, tuttavia non intaccò minimamente la produzione del modello originale inglese, la cui carriera era ben lontana dal viale del tramonto.
Nel 1967 venne introdotta la seconda serie della Mini Made in England, caratterizzata da una nuova mascherina trapezoidale all’anteriore, nuovi fari posteriori di forma rettangolare ed un lunotto leggermente più ampio, inoltre da segnalare anche l’adozione del propulsore A Series da 998 CC, disponibile solo nell’allestimento top di gamma Super De Luxe. Due anni più tardi arrivò quello che viene considerato il primo tentativo concreto di sostituzione della Mini da parte della casa inglese, la Clubman, contraddistinta da un frontale più lungo di 12 centimetri rispetto all’originale e riconoscibile per la forma squadrata, che mal si sposava con la simpatica carrozzeria della vettura del 1959 e, ovviamente, fin dal suo debutto creò perplessità tra i puristi i quali, continuarono ad apprezzare la versione classica, rimasta in listino dopo l’arrivo del restyling.
La Clubman, non riuscì a conquistare un gran numero di acquirenti e, continuò la sua carriera commerciale fino al 1980 in versione berlina e, per altri due anni in versione Estate (Wagon). Contemporaneamente al lancio della Clubman, nel 1969, venne presentata la terza serie della versione classica, la quale tra le numerose novità adottava un nuovo logo con la scritta Mini in sostituzione dei precedenti marchi Austin e Morris, divenendo quindi una sorta di marchio a sé stante nella galassia del nuovo gruppo Leyland. Tra le altre migliorie introdotte, la scomparsa delle cerniere esterne, inserite all’interno delle portiere leggermente più grandi, i cristalli discendenti e le bocchette di areazione posizionate ai lati della plancia. Furono reintrodotte le sospensioni ad elementi di gomma del modello originario, al posto delle troppo costose e complesse Hydragas. Questa serie vide inoltre, nel 1971, l’uscita dell’ultima Cooper S, sostituita dalla nuova Clubman 1275 GT; per ritrovare nuovamente il binomio con John Cooper, dovranno passare molti anni.
Per mantenere fresco un prodotto che cominciava a sentire il peso degli anni, la British Leyland, introdusse nel 1976, la quarta serie della Mini, riconoscibile per la mascherina frontale in plastica ed altri dettagli minori. Nel 1980 vi fu un secondo tentativo di sostituire la Mini, il lancio della nuova Austin Mini Metro, in seguito solo Metro, che nacque in un periodo molto complesso per la compagnia, la quale doveva far fronte alla dismissione di marchi e alla chiusura di stabilimenti nel tentativo di arginare ingenti perdite. Anche in questo caso la Metro, si limitò ad affiancare la Mini classica, la cui gamma venne aggiornata con l’introduzione della 1000 HL, in sostituzione della versione 850, uscita di listino nell’Agosto di quell’anno. Nel 1982, il rinnovato Austin Rover Group, introdusse ulteriori aggiornamenti alla gamma, basata sempre sulla motorizzazione 1000 da 44 CV, introducendo gli allestimenti City E, HLE e Mayfair.
Nel 1984 nuove migliorie portarono alla quinta serie, nella quale vennero introdotti i freni a disco all’anteriore, carreggiate più larghe camuffate dai nuovi passaruota in plastica e nuovi cerchi da 12 pollici, al posto degli originali da 10. Nella gamma ’84, si aggiunse anche la versione speciale commemorativa 25°, basata sull’allestimento Mayfair, ed introdotta per il venticinquesimo anniversario dalla presentazione in tiratura limitata a 5.000 esemplari. Numerose saranno le versioni speciali che si susseguiranno tra la metà degli anni ’80 e gli anni ’90, tra queste ricordiamo la Chelsea, la Park Lane, le Black Jack e Red Hot, la Studio 2 e, a seguire, le versioni Racing Green, Flame Red e Checkmate con carrozzeria in contrasto con il tetto bianco, propiziatorie per il ritorno in grande stile della versione Cooper nel 1990.
Tornando all’ordine cronologico, nel 1985 ulteriori modifiche interessarono la Mini, sancendo il definitivo pensionamento della strumentazione centrale anche nell’allestimento base, che adottò la conformazione dietro al volante come le versioni più equipaggiate. Nel 1986 uscì dalle linee di Longbridge la Mini numero 5.000.000 e nonostante il grande traguardo per il gruppo e l’industria automobilistica britannica, la Austin Rover chiuse l’anno con una perdita di quasi 900 milioni di Sterline, portando il nuovo management guidato da Graham Day ad un’ulteriore ristrutturazione, che dette vita al Rover Group.
La Mini intanto, nel 1989, spense 30 candeline e per l’occasione venne organizzata una parata commemorativa a Silverstone, dove arrivarono appassionati da tutto il mondo, rimarcando ancora una volta l’amore planetario per questa piccola grande icona dell’auto. Per l’occasione venne introdotta la versione commemorativa Thirty, caratterizzata dalla possibilità di scegliere tra due tinte esterne: nera o rosso ciliegia. Sempre all’esterno spiccavano i classici paraurti cromati, una nuova griglia a listelli orizzontali, sempre cromata e, cerchi in lega ad 8 razze Minilite, oltre allo specifico logo capeggiato dal vecchio marchio Austin circondato dai leoni rampanti della nobiltà britannica. Nel 1990 il grande ritorno della versione Cooper, un revival atteso da molti, che visse di lì alla fine della carriera del modello una seconda giovinezza, grazie al suo fascino senza tempo abbinato a prestazioni pressoché inalterate rispetto al modello originario. Il motore utilizzato era il classico 1275 CC da 61 Cv , divenuti 63 nel 1991 con l’adozione del catalizzatore, per una velocità massima di tutto rispetto, 152 Km/h. Caratteristiche peculiari della nuova Cooper erano la carrozzeria in contrasto con il tetto verniciato di bianco come da tradizione, il logo Mini Cooper posto sulle fiancate, mentre all’interno si ritrovavano rivestimenti in stoffa e pelle. A completare il classico quadro strumenti dietro al volante, composto da tre elementi circolari, abbinato ad un volante specifico in pelle a tre razze con logo Cooper. La sesta serie della Mini arrivò nel ’92 e vide l’adozione in tutta la gamma del motore 1275 CC al posto del 998 CC e, sempre in quell’anno venne presentata la nuova versione British Open Classic, caratterizzata dal tetto in tela elettrico che si sviluppava per tutta la lunghezza dell’abitacolo. Sempre nel 1992, al Motor Show di Birmingham, vide la luce la Mini Cabriolet, sviluppata in collaborazione con la tedesca Karmann, che si presentava con allestimento ricercato in cui figuravano plancia in radica e volante in pelle, mentre all’esterno spiccavano gli inediti paraurti in plastica con spoiler, raccordati a passaruota maggiorati in colore della carrozzeria. Di questo inedito modello, prodotto fino all’Ottobre 1996, verranno realizzati solo 414 esemplari. Sempre nel 1996, la sesta serie della Mini, venne sostituita dalla settima ed ultima serie, che differiva da quest’ultima per l’adozione dell’airbag lato guida, rivisto inoltre il cruscotto con cassetto porta oggetti chiuso, mentre sotto l’aspetto tecnico da segnalare lo spostamento del radiatore dalla posizione laterale storica a quella frontale.
La versione speciale 40 LE del 1999 sancì il quarantesimo traguardo produttivo della Mini, che vide di lì ad un anno il suo definitivo addio. Il 4 Ottobre 2000 l’ultima creatura di Issigonis uscì dalle linee di montaggio; era una Cooper in allestimento Sport di colore rosso. La gamma di addio alla Mini venne denominata Final Edition ed era composta da quattro allestimenti: la Seven, alla base, il cui nome si rifaceva al primo modello di Mini a marchio Austin, la Cooper, la Cooper Sport e, in ultima istanza, la lussuosa e ricercata Knightsbridge. Calò così il sipario sulla Mini di Alec, dopo oltre 5.000.000 di esemplari prodotti, sfumature di un’icona dell’auto, contro cui nessun revival potrà mai competere, anche se va detto che sicuramente contribuirà a mantenerne viva la memoria, ma non le sue rivoluzionarie peculiarità.
Mini MK I e II. 1959 – 1969
Riley Elf e Wolseley Hornet. 1961-1970
Mini Moke. 1964 – 1994
Mini Cooper S Rally. 1964 – 1967
Authi Mini MK I,II e III. 1968 – 1975
Innocenti Mini MK I,II e III. 1965 – 1975
Mini Clubman. 1969 – 1980 (1982 Clubman Estate)
Mini MK III e IV. 1969 – 1984
Mini MK V, VI e VII. 1984 – 2000
Mini Final Edition. 2000
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